(Sono mancata per circa due mesi e mezzo. Facciamo finta di niente? Io direi di sì e voi non siete in grado di replicare, non in tempo utile, almeno. Il bello di avere un blog: essere dittatoriali.)
Questa estate fiorentina- e, in piccola parte, siciliana e romana- è volata, portando con sé parecchie ore di sonno, sacrificate sull’altare del divertimento, tanti colori, fiumi di mojito e shot di latte e menta e, ora che è passato anche il mio compleanno, il my double sweet sixteen, e quindi è crollato l’ultimo baluardo di allegria prima del countdown per il Natale, anche un po’ di spensieratezza.
Che ci fosse qualcosa nell’aria che stava cambiando si sentiva già prima che partissi per le ferie, ma non intuivo la portata di quanto stesse accadendo.
Sembrava solo una piccola crepa, come quando un sassolino si scaglia contro un parabrezza e lascia un segno, ma un segno infinitesimale.
Il segno, però c’era, io lo vedevo, lui lo vedeva.
L’amicizia fra adulti è una questione complicata. L’amicizia fra un uomo ed una donna adulti è più delicata di un bicchiere di cristallo. E non sempre le nostre mani sono prudenti.
Insomma, il nostro bicchiere aveva una sbeccatura già prima che partissi per le ferie.
Puoi far finta di nulla, puoi pensare che una minima incrinatura possa passare inosservata, ma sai che è lì, ogni volta che ci poggi le labbra per bere o sfiori il bordo con le dita, ti ricordi che non puoi far finta che non ci sia, rischi di tagliarti.
Inizi allora a trattare il tuo bicchiere con delicatezza, ma spesso, a quella incrinatura, basta un piccolo colpo, per allargarsi.
Sì, lo so, i bicchieri rotti si buttano e basta, ma a questo bicchiere, ti sei inaspettatamente affezionata. È composto da parti tanto diverse, quanto simili, come colori complementari e non vuoi buttarlo. Vorresti ripararlo, ma non è facile.
Imparare a conoscersi da bambini, quello sì che è facile. Saper cambiare con il passare del tempo, già è un altro discorso. A quel punto, avvengono selezioni naturali degne dei migliori sviluppi darwiniani, ma conoscersi da adulti… beh, è proprio un’altra storia.
William Eugene Smith- “A walk to Paradise garden”, 1946 ( Grazie ad E per avermela mostrata e spiegata)
Arrivare ad ottenere la fiducia di una persona, a quel punto, arrivare a scambiare fiducia è più esatto, da adulti, è come dare le chiavi della propria casa.
È passare oltre le trincee e i muri che ha scavato l’esperienza per celare i tessuti molli della nostra anima, del nostro cuore.
Quella persona ha le chiavi per capirti e può usarle per scopi più o meno giusti, può farti male, può rubarti qualcosa. Ma non hai alternative, perché quando ti riconosci in qualcosa che appartiene ad un altro essere umano, che sia una luce negli occhi, un sorriso, una parola non puoi tirarti indietro a priori.
Quando un’amicizia finisce, soprattutto se finisce silenziosamente, se il distacco avviene senza chiarimento, senza frattura vera a propria, senza che il bicchiere cada a terra e si rompa in mille pezzi,-ed è frequente che ciò non avvenga, superata l’adolescenza- ti rimane un paio di chiavi, un paio di chiavi che, probabilmente, continueranno ad aprire per sempre quella porta, anche se non avrai mai occasione di dimostrarlo.
Sono una pasionaria, facile all’amicizia, quanto difficile all’amore, ho molte chiavi nel mio stipetto. A volte, come in questo caso, mi sono dovuta allontanare per vedere la questione da un’angolatura più ampia ed è ciò che ho cercato di fare per tutto questo mese, cercando di non fare passi troppo lunghi, perché so che, quando allungo le distanze, è difficile che poi torni indietro, che riprenda in mano quelle chiavi e non dimentichi a cosa mi servissero, quale cuore aprissero.
Dal web
A volte l’amicizia non è quello che sentivi, allontanarsi te lo fa capire. A volte era un semplice fuoco fatuo, ingigantito dalla curiosità della scoperta di qualcosa di nuovo e diverso, a volte è una proiezione dei nostri bisogni, delle nostre aspettative, altre volte, è qualcosa che nasce dalla pancia, dalla pelle, ma che non riesce a trovare le parole ed i gesti, perché siamo troppo abituati a celarci, ad avere paura della nostra nudità interiore.
Non ho ancora capito cosa sia successo al mio, al nostro, bicchiere, o meglio, non ne sono certa… le chiavi le ho ancora lì, almeno per un po’; bevo risentimento e malinconia, a volte, sfiducia, altre. In altre occasioni, qualcosa di leggero, simile all’aria, qualcosa che rimpiccolisce la questione, la fa diventare una goccia d’acqua sulla punta del mio dito, così insignificante da chiedermi come si sia arrivati a questo punto.
Ma non sempre, anzi, questo è uno dei crucci più grandi della maggior parte degli esseri umani, le cose hanno una spiegazione, a volte, accadono e basta.
So che, molto probabilmente, questo bicchiere, questo paio di chiavi saranno qualcosa di cui sorridere, perché il tempo ridimensiona e, alle volte, se si supera la buriana, si arriva ad una sorta di infrangibilità, ad un passepartout che apre le porte e ti fa sentire a casa tua anche nella casa di un altro, nelle profondità buie di un altro, ma… ora è il presente, non è il futuro.
E forse qualcosa accadrà, forse no… forse ne varrà la pena… forse no. Io lascio che le cose scorrano, perché, solo una cosa mi è chiara: un rapporto in cui sono coinvolte due persone non può essere determinato dalla volontà di una.
(…) “In quel momento apparve la volpe.
“Buon giorno”, disse la volpe.
“Buon giorno”, rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
“Sono qui”, disse la voce, “sotto al melo….”
“Chi sei?” domandò il piccolo principe, ” sei molto carino…”
“Sono la volpe”, disse la volpe.
” Vieni a giocare con me”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.
“Ah! scusa “, fece il piccolo principe.
Ma dopo un momento di riflessione soggiunse:
” Che cosa vuol dire addomesticare?”
” Non sei di queste parti, tu”, disse la volpe” che cosa cerchi?”
” Cerco gli uomini”, disse il piccolo principe.
” Che cosa vuol dire addomesticare?”
” Gli uomini” disse la volpe” hanno dei fucili e cacciano. E’ molto noioso!
Allevano anche delle galline. E’ il loro solo interesse. Tu cerchi le galline?”
“No”, disse il piccolo principe. ” Cerco degli amici. Che cosa vuol dire addomesticare?”
” È ‘ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…”
” Creare dei legami?”
” Certo”, disse la volpe. ” Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma, se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.”
” Comincio a capire”, disse il piccolo principe. ” C’è un fiore…. Credo che mi abbia addomesticato…”
“È possibile”, disse la volpe “capita di tutto sulla terra…”
“Oh! Non è sulla terra”, disse il piccolo principe.
La volpe sembrò perplessa:
” Su un altro pianeta?”
” Sì”
” Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?”
” No”
” Questo mi interessa! E delle galline?”
” No”
” Non c’è niente di perfetto”, sospirò la volpe.
Ma la volpe ritornò alla sua idea:
” La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me .Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio per ciò. Ma se tu mi addomestichi la mia vita, sarà come illuminata. Conoscerò il rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color d’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…”
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe:
” Per favore … addomesticami”, disse.
” Volentieri”, rispose il piccolo principe, ” ma non ho molto tempo, però.
Ho da scoprire degli amici e da conoscere molte cose”.
” Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe.” gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!”
” Che bisogna fare?” domandò il piccolo principe.
” Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe.
” In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino….”
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
” Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe.
” Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi, alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità.
Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
” Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
” Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe.
” È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io
mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l’ora della partenza fu vicina:
“Ah!” disse la volpe, “…Piangerò”.
” La colpa è tua”, disse il piccolo principe, “Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…”
” È vero”, disse la volpe.
” Ma piangerai!” disse il piccolo principe.
” È certo”, disse la volpe.
” Ma allora che ci guadagni?”
” Ci guadagno”, disse la volpe, ” il colore del grano”.
soggiunse:
” Va a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo”.
“Quando ritornerai a dirmi addio ti regalerò un segreto”.
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
“Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente” , disse.
” Nessuno vi ha addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre.
Ma ne ho fatto il mio amico e ne ho fatto per me unica al mondo”.
E le rose erano a disagio.
” Voi siete belle, ma siete vuote”, disse ancora. ” Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei
che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro, Perché è lei che ho riparato col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato
lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa” E ritornò dalla volpe.
” Addio”, disse.
“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
” L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
” E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.
“E’ il tempo che ho perduto per la mia rosa…” sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
” Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare.
Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…”
” Io sono responsabile della mia rosa….” Ripetè il piccolo principe per ricordarselo.
“Il Piccolo Principe”- Antoine de Saint- Exupèry
(Se siete arrivati fin qui… sì, lo so che la sapete a memoria, ma, ogni tanto, fa bene rileggerla.)