quello che sento

Le Conseguenze della Tosse.

Ho la tosse. Per l’esattezza, sono in malattia da martedì, ma martedì non posso contarlo, perché, ovviamente – e dico così, visto che è un’ azione che reitero dai tempi della scuola-, mi sono ammalata nel mio giorno libero e, per non far passare “neanche un minuto di non malore”- parafrasando Battisti-, ho iniziato il lunedì notte a star male.

Tutto è partito con una tosse fortissima, tanto da farmi sentire una moderna Violetta in preda alla tisi, peccato che riuscissi a malapena a parlare, altro che intonare “Amami Alfredo”, senza contare che, molto più pragmaticamente, avrei detto “Curami, idiota!”- quando hai poco fiato, non lo sprechi per dire cazzate, tipo parlare d’ Amore- è proseguito con tosse, tosse, tosse, febbre, tosse, tosse, sinusite, tosse… e mi ha indotto, contro ogni previsione, a prendere anche mercoledì pomeriggio ed oggi di malattia, oltreché a riflettere su quanto sia importante avere una mamma nei dintorni.

(In sostituzione di mamma, è arrivato a sorpresa, mercoledì mattina, il mio amico Sissi con un super sciroppo, ordinato via whatsapp, il cui affetto ho ricambiato tossendogli in faccia per circa due ore.)

medicine

A questo punto si poneva il problema certificato.

Ora, c’è un mondo di gente organizzata, per cui, al cambio di città, corrisponde un cambio di residenza o domicilio, un cambio del medico di base, un cambio in generale, e poi… ci sono io.

Una Mary Poppins con la paura di radicarsi, un’età in cui dovrebbe pensare a farlo, e un lavoro che la catalizza completamente ( per fortuna, ci sono persone che pensano al futuro e mi stanno nascendo dei nipoti… uno è nato ieri: ciao Lorenzo! Ciao “a zia”!- come si suole dire dalle mie parti-).

Un’ eroina che, da brava figlia di medico e farmacista, ovviamente, non si è quasi mai sottoposta ad una visita dal medico di base- sporadicamente, dopo la morte di papà-; non ha quasi mai comprato medicine- anzi, ogni volta che ora è costretta a farlo, le viene quasi da piangere a spendere i soldi così… non che mamma non le paghi,  non è sua la farmacia, ma almeno le paga lei e fa anche delivery service- e vive all’insegna del ” tanto non mi ammalo!”.

Ora, l’ottimismo volerà pure, ma vola basso e si schianta con la dura legge dei “primi freddi” ed ecco che mi sono ammalata.

Se da piccola, quando dovevo andare a scuola e non volevo andarci, avevo anticorpi grandi come Terranova, che resistevano anche al “metodo Narcos” elaborato dalla mia amica Esse per farsi venire la febbre e consistente nel saltare sul letto, masticando tabacco- le foglie di coca non le vendevano nel nostro quartiere-, ora credo che le loro proporzioni siano, in termini cinofili, quelle di un chiwawa, per di più toy. Peccato che a lavoro io debba andarci, non è come la scuola. Se non vai, si accumula. E, purtroppo, non posso farlo da casa.

Rassegnatami dopo vari escamotage psicologici, tipo dichiarare una mezza giornata di malattia alla volta, sperando, nell’altra metà, in una miracolosa guarigione, all’ineluttabilità dell’influenza, ho avuto una seconda delusione.

Il mio medico di base, l’uomo che ha giurato per Ippocrate di curarmi, di proteggermi dalle mie paure e dalle ipocondrie, si è rifiutato di farmi un certificato, visto che sono a Firenze e non a Roma, e lui non ha il raggio laser per visitarmi a distanza.

La delusione di non essere immortale già mi aveva destabilizzato, quella che il mio medico di famiglia non sia un super eroe mi ha gettato nello sconforto più profondo.

La soluzione è stata trovare un altro medico, in loco. Per fortuna, una collega, di quelle previdenti, aveva già fatto il cambio e aveva un nominativo da darmi.

Sono arrivata in questo studio, pieno di signori ultrasettantenni che si conoscevano tutti, tanto che, se ci fosse stata musica, sarebbe potuto tranquillamente passare per un centro anziani, in formissima, e ho iniziato a tossire, come se farlo fosse la funzione fisiologica dei miei polmoni, l’evoluzione 2.0 del respirare.

vecchiette

Credo di averne sterminati una buona cinquina, ma dovremo aspettare la prossima settimana per scoprirlo. Sono una specie di inconsapevole arma biologica lanciata contro la terza età.

Finalmente arriva il mio turno, tutta carina espongo alla meravigliosa dottoressa Elle, stesso nome della mia maestra preferita di “Saranno Famosi”, quella, per capirci, che parlava di sudore e sacrifici, e al suo tirocinante, le mie problematiche.

Mi auscultano. Io respiro, tossisco, respiro profondamente, mi sdraio, se trovano una soluzione al problema, sono anche disposta a scodinzolare e rotolare. E senza biscottino. Li ascolto che parlano: ” Lì c’è qualcosa, lì no…” Nella mia testolina, sebbene abbia letto più Manuale Merck che Topolino, da piccola, si formula la parola con le nuvolette “catarro”. Poi, mi risveglio da tutte queste espirazioni e sento:” sarebbe necessario farle fare una lastra, ma visto che è circoscritto ad un solo polmone, iniziamo subito la terapia e, poi, fra una settimana, se auscultandola, persiste, gliela facciamo fare” Mi giro, come nella pubblicità di Lou Lou, il profumo anni ’80 che adoravo, con la mia miglior espressione “C’est moi”, capisco che si parla di me e dico, ingenua come Geordie, quando si ammala e Arthur la scalda con il calore del suo corpo, scena che ha confuso generazioni  di bambini, cresciuti pensando che la febbre passasse trombandosi il fratello:” Ma non è catarro?”
E lei:” No, è un focolaio di polmonite, limitato solo ad un polmone”.

Nella mia mente, la polmonite è sempre stata una cosa grave. Tipo il colera, tipo orecchioni e varicella, tipo: “Signora, aspetta un figlio”. E io:” Ma quindi a lavoro…? Non torno domani…?” E la dottoressa, seraficamente:” Scordatelo”.

Dopo questa notizia sconvolgente, ovviamente, ho chiamato tutti i parenti entro il terzo grado- e ho anche dovuto convincerli a non venire a Firenze ad infettarsi-, ho fatto scorte di cibo per l’intera settimana, mi sono informata su come usufruire del servizio di spesa online e saccheggiato la farmacia.
Poi mi sono richiusa in casa. A questo punto, si è posto il problema citofono.
Nei circa sette mesi in cui abito qui, non ho mai capito quale fosse il mio citofono. Il nome del locatario, è durato un mese, poi qualcuno lo ha staccato e ho rimosso completamente dove fosse.

I miei amici, visto che abito al primo piano, o telefonano, o urlano. L’effetto è simile: se telefonano, li senti comunque come se urlassero, solo spendono soldi. Gli unici che mi citofonano con costanza sono venditori ambulanti, testimoni di Geova, operatori di aziende varie. Il problema, quindi, è stato trovare il tasto sul citofono per rispondere all’eventuale visita fiscale.

Soluzioni pensate: chiamo qualche amico, bocciata: sono tutti a lavoro; chiedo al proprietario: non se lo ricorda manco lui; uso la tecnologia: metto il cellulare sotto il citofono, scendo, suono ai papabili, nel frattempo, lui registra e io capisco.
Fortunatamente, è bastato farlo due volte, non sarei sopravvissuta alla terza. Già fare la doccia, attraversare Firenze in taxi, farsi visitare, fare la spesa e andare in farmacia erano state missioni kamikaze, la storia del citofono mi stava mandando direttamente game over.

Conclusasi “l’operazione citofono” mi sono rassegnata alla prigionia: mi sono messa un pigiama adatto a ricevere, ho cambiato le lenzuola e sistemato i cuscini, ho chiamato mamma sollecitandola ad informarsi sulla mia soglia di infettività, per non rendere inutile sfoggiare un pigiama sì tanto kitsch, ho ricaricato la pennetta per internet e sono crollata in un sonno pieno di sogni strani- con tutte le medicine a base di derivati dell’oppio che ho preso…-.

maglia

Ora posso iniziare la quarantena.
“Se non riesci ad uscire dal tunnel, arredalo” Jeppi Cucciari

( Per capirci, ho comprato anche i Kleenex come nei film… altro che arredare!)

casa

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