quello che sento

Lettera C e le lenti di ingradimento.

Ormai è risaputo: sono una provetta Mary Poppins senza ombrello con il pappagallo, ma solo perché sono insofferente agli ombrelli e avrei paura di stritolare l’odioso pennuto. Ovviamente, dopo tre mesi passati nella culla del Rinascimento, inizio a fremere. 1558600_10202905313418994_4137387_nMary Poppins secondo la mia personale interpretazione

L’altra sera ne parlavo con un collega, che ha tutte le potenzialità per divenire un piacevole interlocutore, e la sua risposta è stata:”Ma sei appena arrivata!”. E ha ragione.

Il fatto è che le abitudini mi spaventano, stare lontano dalle persone che amo mi fa pensare di perdere tempo- purtroppo, come ho già detto e,rimanendo in clima Disney, precisamente in “Lilo e Stitch”:” La nostra è una famiglia piccola”- e la coincidenza fra colleghi, amici e “famiglia acquisita” fiorentina, alle volte, mi fa diventare claustrofobica, sebbene riconosca di essere stata fortunata ad incontrare persone molto piacevoli.

Sottraendo le due ultime motivazioni, che non rientrano nella sfera del trasformabile, visto che non dipendono esclusivamente dalla mia volontà, mi sono chiesta perché abbia tanta paura delle abitudini.

Dal punto di vista lavorativo, l’abitudine mi sembra sia un freno alla crescita; sentimentalmente, il prodromo della fine. separazione romantica Dal Web

Forse dovrei distinguere fra buona e cattiva abitudine.

Ora, quando torno a casa, nella mia casa fiorentina, inizio a sentire qualcosa simile ad un senso di appartenenza. Conosco i vicini, la signora del piano di sopra, che è felice di vedermi; la vicina, che cucina e lascia la porta aperta e mi chiama “amorosa”- credo pensi che abbia 8 anni, su per giù-; la bimba indiana della porta accanto che, insieme alle due sorelline del piano di sopra, riempie il palazzo di vocine; gli uomini indiani che si mettono a parlare sotto casa al cellulare e strillano talmente tanto da farmi quasi apprezzare gli afoni uomini italiani; i muri bianchi; la luce che, la mattina quando riposo, pervade la mia stanza in maniera discreta, ma sensuale.

A lavoro, ugualmente, con i colleghiamicifamiliari- visto che passiamo 25 ore su 24 insieme- le giornate passano velocemente. Ho abbastanza libertà per proporre le mie idee ed i riscontri sono positivi. Fra l’altro, c’è sempre qualcuno con cui scambiare due chiacchiere, bere una birra- che io non bevo, ma sono dettagli…”vado avanti tristemente a champagne e bon bon”, come direbbe Rino Gaetano-, parlare e, in questa moltitudine, c’è anche qualcuno con cui senti di poterti aprire in maniera meno superficiale. 1501689_632521803482869_829420735_n Helena Bonham Carter fotografata da Tim Walker

Insomma, questo è il lato positivo dell’abitudine.

Eppure, anche da questa angolazione, mi impaurisce. Creare delle consuetudini piacevoli, fa sì che, qualora esse dovessero cambiare, ne soffrirei. Un po’ come la volpe de “Il Piccolo Principe”. Addomesticarsi comporta un margine di rischio non trascurabile: se non arriverai alle quattro, mi preoccuperò. “Scoprirò il prezzo della felicità”.

In passato, ho sempre considerato l’abitudine un mezzo per superare i traumi, per vedere come piccola e insignificante una difficoltà che, precedentemente, sembrava insormontabile. Una sorta di lente di ingrandimento al contrario. Mio papà diceva:”Ci si abitua a tutto”e, in base a questa premessa, con questo mantra, mi sono abituata anche al fatto di non averlo più con me.

Ora, questa consapevolezza, la paura che l’abitudine possa portarmi qualcosa di positivo e che questo qualcosa possa poi andar via, fa sì che io rimanga sulla soglia, che non giri la lente di ingrandimento dal verso giusto. Ecco cosa mi spaventa.

Eppure, di fatto, anche il non girare la lente, il non voler mettere a fuoco è senza dubbio un modo di assuefarsi. Ci si allena a non creare legami, a non creare stabilità, perché questa stabilità potrebbe non durare. Forse è il momento di rinunciare a questa perfezione asettica e iniziare a correre il rischio di abituarsi a qualcosa. Magari a qualcuno. il-bacio-di-elliott-erwitt Elliott Erwitt, California, 1955

“Chiudi gli occhi

immagina una gioia

  molto probabilmente

  penseresti a una partenza

  ah si vivesse solo di inizi

  di eccitazioni da prima volta

quando tutto ti sorprende

nulla ti appartiene ancora

(…)

ma tra la partenza e il traguardo

nel mezzo c’è tutto il resto

  e tutto il resto è giorno dopo giorno

  e giorno dopo giorno

è  silenziosamente costruire

  e costruire è potere e sapere

  rinunciare alla perfezione

  ti stringo le mani

  rimani qui

cadrà la neve

  a breve”

Nicolò Fabi- “Costruire”

p.s. Parlare di neve il 23 di Giugno… è da me.

 

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